Il portafortuna

Questa storia non racconta di un favore, ma di un tipo di scambio quasi inconsapevole.

«La mia vita di mamma è iniziata da giovanissima». Quando Sandra (ndr. nome di fantasia) ebbe il primo figlio era ancora adolescente. Ne seguirono altri due negli anni successivi.

«Come si suol dire “il tempo delle mele” mi è sfuggito senza quasi che me ne accorgessi. Gli amici, la discoteca e tutte le nuove esperienze di vita che si fanno a quell’età non sono state parte della mia vita. Avevo ben altro a cui pensare». L’ho ascoltata incuriosita, dicendole di immaginare perfettamente la sua condizione. Lei ha continuato a raccontare, con una voce velata di commozione. «Ma le confesso un segreto!» – mi ha detto ad un tratto – «Non sono assolutamente pentita della mia scelta, anzi rifarei tutto ciò che ho fatto» ha asserito, guardando con amore ed ammirazione il suo primo figlio, che l’aveva accompagnata.

Il suo sacrificio – se così si può definire (anche se so che non sarebbe d’accordo!) – è stato un atto di grande amore e dedizione per la sua famiglia, che ha costruito fin da giovanissima. Nella nostra quotidianità storie simili a quella della signora Sandra sono ormai rare. Ma mi è venuta in mente l’India, dove invece è prassi affrontare la prima gravidanza molto giovani. Tempo fa incontrai un medico di origine indiana che mi spiegò le ragioni di questa tendenza. In India, infatti, lo sviluppo della donna è molto precoce ed anche il periodo fertile femminile è più breve rispetto a quello delle donne europee. Insomma devono accelerare i tempi! Non so se questa sia una motivazione vera ed assoluta, considerando anche il fatto che il medico in questione era un uomo. Mi sarebbe piaciuto confrontarmi anche con un medico indiano donna per sentire la sua versione dei fatti. Ad ogni modo le motivazioni di Sandra vanno oltre queste ragioni fisiologiche e sociali. La vita l’ha condotta verso queste esperienze, che lei ha saputo affrontare a testa alta grazie alla sua maturità, alla sua forza d’animo e, perché no, credo anche grazie alla sua fede. Il destino le ha proposto la maternità e lei ha accettato con consapevolezza e coscienza. A riprova di ciò che pensavo su di lei mi ha detto «Per me i bambini sono tutto, provo per loro un amore infinito». 

Sandra mi ha riportato alla luce i ricordi di me quindicenne. I miei obiettivi erano finire le scuole superiori e magari proseguire all’università. In confronto alle sue esperienze di vita mi sono sentita quasi sciocca, incapace. Mi ha confidato che qualche anno fa ha iniziato a svolgere alcune ore di volontariato presso un ospedale infantile. Era per lei il massimo della soddisfazione. Il suo cuore aveva ancora spazio per fare entrare qualcun altro.

Un giorno, in occasione di uno dei nostri tanti incontri, mi confessò che si sarebbe dovuta ricoverare in ospedale per qualche giorno per affrontare un intervento. Le chiesi con apprensione di cosa si trattava e lei, con la sua assoluta ed incrollabile calma, mi disse che l’operazione avrebbe interessato la testa. Un intervento delicato, con molte probabilità di complicazioni. La cosa mi aveva impressionato molto. La ascoltai con ammirazione e commozione: quella donna dai capelli castani dorati era piccola e delicata quanto forte e inarrestabile, come i germogli che dal sottosuolo si fanno strada tra le pietre e il cemento per poi spuntare con orgoglio, verdi e teneri; come un pulcino che rompe il guscio dell’uovo che lo protegge per cominciare la sua scoperta del mondo. Che coraggio! Penso alla sottoscritta che, se si deve far estrarre un dente, va in paranoia! Che vergogna! 

«Con me porto sempre la foto di Neela (ndr. nome di fantasia)» mi ha detto Sandra. Per un attimo non ho compreso, poi ho ricordato ed ho annuito. Neela è una bambina che vive in uno degli slum di Mumbai e che la signora adottò a distanza qualche tempo fa. «Ah sì! Neela! Davvero porta con sé una sua foto?» ho chiesto. «Sì, metto la sua fotografia sul comodino» ha continuato «e guardandola mi trasmette gioia, mi pare di averla lì accanto a me! È strano, ma Neela la sento come se fosse mia da sempre. Le voglio bene come ne voglio ai miei figli. Vorrei tanto poterla incontrare, farla venire in Italia, abbracciarla forte e stare insieme!». Non mi sono trattenuta. Le ho detto: «In un certo senso Neela è quasi il suo portafortuna!». E lei: «Sì, anche il mio medico ormai conosce la sua storia e non si stupisce più, anzi, se non la vede mi chiede dove sia la sua fotografia».

Ogni volta, incontrando la signora Sandra, mi chiedo sempre dove trovi e dove nasconda la sua forza. Una fonte certa è la sua famiglia, che la sostiene e ne riconosce il valore di donna, madre e moglie. Purtroppo non è sempre vero che i figli sono di supporto ai genitori nella fase della loro età avanzata. Neela è diventata, in questa particolare situazione di sofferenza, la “figlia” lontana che aiuta in modo simbolico la sua madrina italiana mai incontrata. La ragazzina indiana e Sandra sono, una per l’altra, dei portafortuna. 

Una mia amica usa salutarmi con la frase «Buoni pensieri», proprio come quelli che Sandra e Neela si inviano attraverso le lettere e come quelli che anche noi si vorrebbe far arrivare a voi tutti.

Sandra si rammarica di non essere più un grado di lavorare con i bambini dell’ospedale come volontaria. Forse la fase “dedizione agli altri” della sua vita doveva terminare. Il buon Dio ha senz’altro in serbo per lei un’altra esperienza da vivere altrettanto bella e interessante.

Tratto da Missione del Sorriso n. 2/2014

R:R.  

Pubblicità